In un mondo sempre più tecnodigitalizzato le identità degli esseri umani sembrano perdere progressivamente consistenza e corporeità soppiantate da nuove forme di soggettività multipla: gli avatar. Alla crisi identitaria novecentesca dell’ “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello, si sostituisce la confusione 2.0 caratterizzata da identità virtualizzate e smaterializzate e dal bisogno del soggetto di un’integrazione dei suoi Avatar.
Il termine Avatar deriva dal sanscrito e significa “personificazione”, “assunzione di un corpo fisico da parte di un dio”. Ciò che rimane del significato etimologico nella traslazione odierna non
è certamente la personificazione o l’assunzione di un corpo, visto che l’avatar è un’identità virtuale dematerializzata e decorporeizzata, quanto piuttosto questa assunzione presuntuosa,
profondamente #narcisistica, del diritto e del potere della creazione. L’avatar in ogni caso non è una creazione, dal sapore biblico, di un’identità ad immagine e somiglianza della propria, bensì
di una o più identità che maggiormente rispondono ai #miti contemporanei di bellezza, magrezza e giovinezza. Maschere seduttive costruite ad hoc per ottenere più like. Questi avatar testimoniano
di identità sempre più dipendenti dal social-consenso. Il monitoraggio del gradimento altrui è fondamentale per valutarsi e definirsi positivamente o negativamente. Il pericolo insito in questo
meccanismo è dato dall’estrema rapidità e mutevolezza che caratterizza il mondo virtuale, che implica, per identità fragili e bisognose di sostituti gratificanti, una capacità camaleontica di
modificarsi per essere sempre in linea con ciò che ottiene popolarità. Spesso questo bisogno attiva un ipercontrollo dei socialnetwork, dei propri post, del numero di condivisioni, dei like
ottenuti. Al di là di personalità estremamente fragili che sviluppano una vera e propria net-dipendenza, si delinea un profilo identitario collettivamente orientato verso un massiccio narcisismo
costantemente solleticato dai social network e dalla popolarità virtuale. Simulacri di gratificazioni mancanti o mancate, i like e la condivisione dei post sollevano l’umanità del terzo
millennio, sempre più tecnomediata e sempre più fluida, dalle frustrazioni e dalle insoddisfazioni della vita, generando illusioni di appagamento senza limiti.